La nostra storia
Perché passato e futuro, memoria e progettualità
sono da tenere insieme per discernere il presente





1. MONS. LUIGI CASANOVA (Ideatore e Rettore: 1898 – 1911) e
l’“ISTITUTO SAN VINCENZO per l’EDUCAZIONE DEI DEFICIENTI”
“… Educazione dei deficienti”: è la denominazione che, alla fine ’800 inizi ‘900, si dà a questa Istituzione milanese, che ospita i cosiddetti ragazzi “ritardati” (“mancanti”, “carenti”), allontanati dalla cosiddetta “scuola normale” senza troppe formalità.
Mons. LUIGI CASANOVA inizia la sua missione sacerdotale come Rettore del “Pio Istituto per sordomuti” di Milano, dove offre ospitalità anche a ragazzi ed a ragazze non completamente sorde, con difetti di pronuncia e con ritardi mentali.
Ben presto questo Sacerdote nota che questa convivenza pone seri problemi: deve intervenire per garantire specifica attenzione ai due raggruppamenti di bisognosi.
La prima intuizione e la primigenia realizzazione di quello che sarà, in seguito, l’“Istituto San Vicenzo” avviene con il concorso delle Suore di Maria Ausiliatrice, le quali accettano di accogliere e di seguire la “prima” comunità di “ammalati psichici” nella loro Istituzione di via Melchiorre Gioia. Si è nell’ottobre del 1898.
Saranno creati due reparti, uno maschile e l’altro femminile, per un totale di settanta (n. 70) creature, alla cui istruzione e cura di provvederanno le stesse Suore, sotto la direzione di un insegnante dell’“Istituto dei Sordomuti”.
Questa sperimentazione offre ottimi risultati, tanto che Mons. Casanova decide di creare un apposito Istituto per questi/e ragazzi/e ospitati dalle Suore Salesiane: nasce il “Pio Istituto udenti muti” (1899), in Via Galvani a Milano. Direttore del Centro è Don Ettore Bellani, il quale si avvale della collaborazione di alcuni laici: Carlo Albertario, Antonio Castaldi e Alessandro Pennati.
La FINALITA’ dell’iniziativa è la seguente: “… Curare per tempo ed educare i fanciulli, che chiameremo ‘udenti muti’, i quali per le loro infermità vengono esclusi dalle scuole pubbliche, confusi con i sordomuti e che, non essendo conveniente accomunare con essi, restano esclusi dalle scuole, finiscono per degenerare, essere erranti su pubbliche vie o soggetti inferiori nei ricoveri” (dallo Statuto).
Dunque, queste creature non devono essere “parcheggiate”, ma educate, istruite e – sin dove è possibile – avviate al lavoro.
I risultati ottenuti anche in questa seconda fase educativo-istituzionale sono più che positivi, tanto da spingere Mons. Casanova a rilevare un lotto di terreno di 12.000 mq. nei pressi della Stazione Centrale di Milano. L’acquisto è sovvenzionato dalla tanta beneficenza e con l’accensione di un mutuo presso la “Cassa di Risparmio delle Province Lombarde”
Il 16 aprile 1900, Il Vescovo di Milano Card. Andrea Carlo Ferrari (1850 – 1921) benedice la “prima pietra”. Il progetto dell’erigendo Istituto prevede un capiente edificio a due piani, atto ad accogliere trecento (n. 300) giovani ospiti, dotato anche di una bella Chiesa, di aule scolastiche e di laboratori; il tutto circondato da ampie zone verdi e da capaci spazi ricreativi.
E’ pronta anche la denominazione: “ISTITUTO SAN VINCENZO per L’EDUCAZIONE dei DEFICIENTI”. Sulla nuova Istituzione è invocata la protezione di San Vincenzo de’ Paoli (1581 – 1660).
Le spese da sostenere sono molto numerose, e Mons. Casanova interpella e coinvolge gli “amici”: “… Mandate, mandate pure come permette la vostra condizione, ma che sia tutta roba di pratica utilità […]. lo, grazie al cielo, non ho bisogno di niente; invece ho bisogno tutto per i nostri figlioli”.
Milano, all’epoca, ha davvero il “cuore in mano”, e alla nuova Istitutuzione inizia ad arrivare ciò che serve: la prima donazione è consistita in cento (100) lettiere di ferro.
Il 18 dicembre 1901 è inaugurata la nuova struttura milanese alla presenza del Beato Card. Ferrari e di numerosi milanesi; questa diverrà immediatamente punto di riferimento educativo nella Milano di allora, tanto che, nel 1905, sarà visitata dalla Regina Elena del Montenegro (1873 – 1952), moglie del Re Vittorio Emanuele III di Savoia e, nel 1906, dalla Regina madre Margherita di Savoia (1851 – 1926), consorte del Re Umberto I.
L’Istituto è aperto a ragazzi ed a ragazze affetti da insufficienza mentale, da anomalie di carattere, da disturbi di udito e di parola; inoltre, sono accolti anche creature prive di famiglia o figli/figlie di genitori che non possono occuparsi di loro.
Per essere accolto in questa Istituzione è sufficiente un certificato medico “autenticato dal Municipio” o, eventualmente, un certificato psicologico stilato dal Direttore della scuola di provenienza.
La MISSIONE EDUCATIVA del Centro è così indicato dallo Statuto: questa Istituzione è un “… CONVITTO – non un semplice ricovero, né una scuola, né una clinica – , nel quale si vuole salvaguardare il soggetto da funeste emozioni che turberebbero l’equilibrio e la calma necessari per evitare in loro fenomeno depressivi, patemi, traumi psichici [correggere “… i difetti di pronunzia, la perdita di saliva, l’andare dinoccolato o floscio, l’insulso schiattar delle risa, il tics nervosi, il morsicare delle unghie”, pur lasciando grande libertà ai bimbi ed alle bimbe “… nella piena esplicazione della personalità”] mediante un metodico sviluppo di vita intellettuale [l’“educazione intellettuale” è ripartita in due sezioni: la prima è dedicata a chi ha difetti di udito e di pronuncia; la seconda è riservata ai cosiddetti “tardivi”, ai quali è impartito il programma delle “scuole elementari”], morale [l’“educazione morale” punta sui valori della “… sincerità, purezza, carità, pulizia e laboriosità”] e fisiologica [corsi di “… educazione fisica”], mercé opportuni orari alternati dal lavoro fisico [l’“educazione tecnico-manuale” è essenziale per preparare l’alunno/a alla sua autonomia; proprio per questo sono in essere anche di officine di falegnameria, di calzoleria, di sartoria, di materasseria, di una tipografia e di una legatoria] ed intellettuale, vigilati da opportune e competenti direzioni medico-psicologiche. […] L’alunno/a deve imparare a badare a se stesso/a economicamente. […] Inoltre, si deve rispetto ai superiori, alle leggi, ai costumi e ad ogni autorità” [educazione civile].
2. MONS. LUIGI CASANOVA. L’ISTITUZIONE SI ESPANDE
L’Istituzione inizia ad essere conosciuta e molto apprezzata in tutta Milano e dintorni: le richieste di ospitalità aumentano di giorno in giorno.
Nel 1903 Mons. Casanova acquista a modico prezzo la “Villa San Gerardo, ed apre la “CASA SAN GERARDO” di Monza, che diverrà la sezione femminile dell’“Istituto San Vicenzo per l’educazione delle deficienti”. Pochi anni dopo, nel 1908, nascerà anche la “CASA SAN GREGORIO” di via Settembrini a Milano, sempre per l’accoglienza e l’educazione delle ragazze.
Nel 1910 il complesso di via Copernico a Milano si amplia con un nuovo edificio dedicato all’“Associazione benefica sordoparlanti”.
Il tutto sotto la regia appassionata di Mons. Luigi Casanova, il quale morirà il 18 febbraio 1911, disponendo nel testamento che la successione e la guida di questa articolata opera passi a don ETTORE BELLANI, suo stretto collaboratore.
3. DON ETTORE BELLANI (Rettore: 1911 – 1920) e
l’“ISTITUTO SAN VINCENZO per l’EDUCAZIONE DEI DEFICIENTI”
Con don ETTORE BELLANI l’“Istituto San Vincenzo” si arricchisce della “Casa-vacanza” di Porto Valtravaglia (VA), luogo di villeggiatura sulle rive del Lago Maggiore sin dal XVIII secolo.
Questa struttura è destinata prevalentemente ai bimbi ed alle bimbe più gracili, permettendo anche la possibilità di un tempo di vacanza a coloro che non hanno una famiglia in grado di consolidare l’opera educativa dell’Istituto nei mesi estivi.
In questo momento storico, l’“Istituto San Vincenzo” non ha né particolari rendite su cui fare affidamento, né possedimenti da far fruttare: la “Provvidenza” è, praticamente, l’unica voce attiva del bilancio.
Un modo per coltivare e sollecitare la “Provvidenza” è stato la creazione del “Comitato Dame di San Vincenzo”, un gruppo di benestanti Signore della ‘Milano-bene’, che oltre a tenere vivi i rapporti con gli offerenti – tentando di coinvolgerne sempre di nuovi – , si impegneranno ad affiancare i ragazzi e le ragazze nella loro crescita umano-educativa-intelletuale (“tutor”), garantendo – in particolare – la loro vicinanza a coloro che non hanno una famiglia.
Ma la “Provvidenza” si rende visibile anche con il concorso ed il lavoro degli ospiti e degli operatori. Infatti, sin dal 1902, sono attive sia la “Pia Industria Sacchetti”, che raccoglie i rifiuti a domicilio – anche gli stessi avanzi di cucina – , riciclando soprattutto la carta, sia la pubblicazione del Periodico (1904) “La Beneficenza e l’Istituto San Vincenzo”, rivista che racconta la vita dell’Ente e ne fa conoscere i bisogni.
Si può ben dire che, nel primo ventennio del secolo XX, l’“Opera San Vincenzo” è già un’organizzazione consolidata e ben conosciuta.
4. MONS. ANGELO RESTELLI (Rettore: 1920 – 1937) e
l’“ISTITUTO SAN VINCENZO per l’EDUCAZIONE DEI DEFICIENTI”
Nel 1920, alla morte di Don Ettore Bellani, la direzione dell’“Istituto San Vincenzo” passa a Mons. ANGELO RESTELLI, noto pedagogo, che si occupa soprattutto di aggiornare la didattica ed i sistemi educativi.
A lui si deve tanto l’acquisizione di una seconda “Casa-vacanza” a Spotorno”, un Comune ligure in Provincia di Savona – questo Rettore sostiene che il “… mare fa miracoli” per gli ospiti cagionevoli di salute – , quanto l’introduzione del Cinema (si è in piena era del “muto”, ed anche i ragazzi e le ragazze con problemi di udito possono godersi i film fino in fondo) all’interno dell’“Istituto San Vincenzo”.
5. MONS. GIULIO TAVOLA (Rettore: 1937 – 1956) e
l’“ISTITUTO SAN VINCENZO per l’EDUCAZIONE DEI DEFICIENTI”
E’ il Rettore che guiderà l’Istituzione nel delicato e doloroso momento storico della Seconda Guerra Mondiale.
Se per un verso Mons. GIULIO TAVOLA guarda con favore – siamo nel 1940 – all’introduzione della Legge che, finalmente, rende obbligatoria l’educazione degli “anormali”, con altrettanta delusione ed avversione vive il tempo del “regime fascista”: anni prima, infatti, è stato oggetto di una delle tante spedizioni punitive di questa dittatura.
Quando gli proporranno l’arruolamento in massa degli alunni dell’Istituto nell’“Opera Nazionale Balilla” con l’allettante promessa della donazione di “divise nuove” per tutti, non acconsentirà alla proposta, dicendo ai richiedenti: “… Che cosa dirà mai la gente? Balilla deficienti”? E tanto basta a far cadere la proposta.
Ma l’arguzia di Mons. Tavola nulla potrà contro la guerra. Infatti, nel frattempo in cui numerosi ex allievi partono per il fronte e gli ospiti più piccoli dell’Istituto sono sfollati a Porto Valtravaglia e a Monza, sulla “Casa” di via Copernico piovono le bombe. Gli aerei degli Alleati puntano su un obbiettivo strategico: la “Stazione Centrale” di Milano, ubicata a pochi centinaia di metri dalla Istituzione di via Copernico.
La struttura di Monza, che ospita le ragazze, è in un contesto relativamente sicuro e più protetto, perché è riconosciuta come “Istituto ospedaliero”.
Scorte previdenti e contributo di cibo proveniente da Monza garantiscono gli approvvigionamenti alimentari.
Il 14 febbraio del 1943, esplosivi incendiari colpiscono il complesso milanese “San Vincenzo”. “… Notte di terrore e di angoscia, riferisce Mons. Carlo Castiglioni, testimone oculare dell’evento. I Superiori, le Suore e i bimbi trovano riparo nel rifugio sotterraneo, mentre le vampe di fuoco, tra volute di fumo quasi tinte di sangue, divoravano le scuole-officine e i magazzini […]. Nella ‘Casa di Milano’ erano rimasti circa cinquanta (n. 50) bambini, in attesa di una possibile sistemazione altrove. Nel rifugio, quando videro i loro superiori con il pallore in viso parlarsi negli orecchi, quando – fra il tambureggiare della mitraglia – attraverso gli spiragli delle mezze finestre spiarono uno strano bagliore diffondersi su nel cortile, intuirono anch’essi che qualcosa di ben grave si era abbattuto sull’Istituto”.
I bombardamenti si fanno sempre più intensi sulla zona. Il 14 agosto 1943 l’“Istituto San Vincenzo” è nuovamente colpito da ordigni sganciati dagli aerei; un incendio danneggia gravemente il tetto ed i locali sottostanti: il danno è devastante.
E’ bene segnare che, tra l’“Armistizio” (8 settembre 1943) e il momento della “Liberazione” (25 aprile 1945), in quello che ancora resterà della struttura dell’“Istituto San Vincenzo”, troveranno rifugio momentaneo dalle vessazioni nazi-fasciste numerosi Ebrei e diversi perseguitati politici, i quali saranno aiutati a valicare il confine Svizzero alla ricerca di libertà.
A guerra conclusa, progressivamente la vita ricomincia. I laboratori interni – le cosiddette “officine” – sono irrimediabilmente distrutti, salvo la materasseria. In questa deturpazione, si rileva il dato positivo che, grazie alla notevole richiesta di manodopera nelle fabbriche, anche molti ex allievi del dell’Istituto troveranno un posto di lavoro.
La riedificazione vera e propria delle parti distrutte dell’Istituto di via Copernico, avviene tra il 1950 e il 1956. La rinnovata Istituzione (“CASA”) – si legge nella rivista “La Beneficenza” – “… la casa dovrà essere semplice, ma non squallida né brutta, perché anche nell’aspetto ha la sua funzione educativa”.
Il 26 aprile 1956 è organizzata l’inaugurazione della ristrutturata Istituzione: è un momento di festa per tutti gli ospiti e per gli operatori. Oltre alla celebrazione della “Prima Comunione” di alcuni ragazzi e ragazze, Mons. Tavola programma la visione di un film. Il Rettore, durante il tragitto che lo porta da Milano a Monza per ritirare il proiettore, avrà un incidente stradale che gli stroncherà la vita. Provvidenzialmente, rimangono illesi un collaboratore ed un giovane allievo che lo accompagnano.
In generale, rispetto al secolo precedente la considerazione della società nei confronti dei “deficienti” non è molto cambiata, almeno secondo le parole dello stesso Rettore don Giulio, il quale scrive: “… Sono convinto che fra bambini minorati, i ‘deficienti’ sono i più infelici e i più sfortunati. Nessuno, a cominciare dai genitori, vuol credere che sono diversi dagli altri bambini, perché sino a una certa età la loro minorazione non appare nettamente. Ma quando la realtà si svela, questi bimbi sono irragionevolmente trattati male e messi da parte. A scuola non riescono a tener dietro ai loro compagni e sono abbandonati a se stessi. Quando rimangono in casa, specialmente se appartengono a famiglie povere o male assestate, cadono nelle mani di ladri o disonesti e, colti in fallo, finiscono in prigione, dove imparano proprio quello che non dovrebbero fare.
Quando escono di prigione, senza la protezione di nessuno, ricadono nelle stesse compagnie, sono ripescati, tornano in prigione […]. Il deficiente non suscita simpatia. Se non riesce a utilizzare le sue piccole capacità, rimane travolto”.
Questa descrizione nitida e cruda, rafforza il valore della missione e del lavoro svolto da questa “Istituzione”.
6. Mons. GIOVANNI MARUBBI (Rettore: 1956 – 1962) e
l’“ISTITUTO SAN VINCENZO per l’EDUCAZIONE DEI DEFICIENTI”
Dopo le fatiche degli esordi e la nuova ripresa del dopoguerra, l’I“Istituto San Vincenzo” continua la sua attività in relativa tranquillità.
Retto da Mons. GIOVANNI MARUBBI, nel 1962 detta Istituzione diventa “OPERA DIOCESANA”, per iniziativa del Cardinale di Milano Giovanni Battista Montini (1897 – 1978), futuro Papa Paolo VI, ora “Santo”.
E’ una svolta fondamentale nella storia e nella vita dell’Ente: da questo momento, infatti, detta Opera si salda organicamente con la Diocesi di Milano, sotto la vigilanza diretta dell’Arcivescovo. La sua nuova denominazione sarà: “OPERA DIOCESANA ISTITUTO SAN VINCENZO”.
Il nuovo “Statuto” del 1962, contenuto nel decreto firmato dall’Arcivescovo Montini, sancisce all’articolo 4 questo saldo legame. E’ scritto: “… L’Opera sarà retta da un Consiglio di Amministrazione, composto di cinque membri. Sono membri di diritto: l’Ordinario Diocesano (l’Arcivescovo, appunto) in qualità di Presidente, e di Direttore generale delle
Case dell’Istituto in qualità di Vice-Presidente. Un membro è presentato dai Sacerdoti addetti all’Opera e deve ottenere la nomina dall’Ordinario Diocesano; gli altri due membri sono nominati dall’Ordinario Diocesano”.
Nel frattempo, non solo sorgono NUOVE STRUTTURE come quella di PARABIAGO (MI) [1961] – una sorta di “casa-famiglia” per le allieve che escono da Monza – e come la “CASA-VACANZE di MERATE (LC) [1964], ma anche si POTENZIANO i RAPPORTI con le ISTITUZIONI POLITICHE, SANITARIE e RELIGIOSE. Di quest’ultime vanno menzionati i “Centri di don Giovanni Calabria – ‘Casa dei buoni Fanciulli’” – , i cui operatori si occupano di assistenza post-scolastica e di avviamento al lavoro.
Nel 1963 le scuole dell’“Istituto San Vincenzo” sono “parificate”; pertanto sono resi validi a tutti gli effetti i titoli di studio che sono conseguiti in questo Ente. Questo dato non solo è un notevole traguardo raggiunto dopo decenni di discriminazione nei confronti dei “deficienti” – ora denominati “minorati psichici” – , ma è anche un riconoscimento sia dei metodi di insegnamento adottati, sia della continua ricerca del superamento delle barriere sociali.
In questo decennio funziona, inoltre, una “scuola Popolare”, a sostegno dell’istruzione elementare di quei bambini e di quelle bambine che, nelle scuole cosiddette “normali”, sarebbero rimaste al palo, causando così l’abbandono scolastico anzitempo.
7. GLI ANNI ’70 e ’80 del SECOLO SCORSO e
l’“OPERA DIOCESANA ISTITUTO SAN VINCENZO”
Passano gli anni, e progressivamente cresce la sensibilità delle Istituzioni nei confronti degli handicappati (in questo tempo definiti “portatori di handicap” o di “disagio psichico”), sia in termini di sostegno economico, sia di attenzione scolastica (introduzione degli “insegnanti di sostegno” nelle scuole pubbliche).
Inoltre, in questo momento storico, anche in campo assistenziale-educativo vi sono profonde trasformazioni e non poche contestazioni. Concetti come “beneficenza” e “assistenza” diventano obsoleti; ora si parla di “solidarietà” e di “condivisione”; il concetto stesso di “Istituto”, di “collegio organizzato” è messo seriamente in discussione nel dibattito sull’assistenza degli “emarginati”; l’impegno che viene dal basso, sovente, si contrappone alle istituzioni consolidate.
Positivamente, si sperimentano nuove forme di intervento che privilegiano la piccola “comunità alloggio” rispetto al grande istituto, ed iniziano ad affermarsi sempre più i fenomeni del “volontariato” e dell’“associazionismo”.
Anche l’“Opera Diocesana Istituto San Vincenzo” è pronta ad accogliere queste novità in un nuovo capitolo della sua storia.
8. GLI ANNI ’90 – 2000 del SECOLO SCORSO e
l’“OPERA DIOCESANA ISTITUTO SAN VINCENZO”
Durante la reggenza della Chiesa milanese del Card. Carlo Maria Martini (1979 – 2002), l’“Istituto San Vincenzo”, ormai parte integrante dell’“Opera Diocesana”, si avvia a vivere la sua “terza giovinezza”.
L’incarico di intraprendere il nuovo percorso di innovazione, che ripensi e rinnovi la tradizionale vocazione assistenziale nei confronti del disagio psichico e sociale di questa Istituzione, è affidato inizialmente a Mons. ERMINIO DE SCALZI e, successivamente, a Mons. ANTONIO BARONE.
E’ necessario, innanzitutto, rivalorizzare e dare una destinazione d’uso al patrimonio immobiliare dell’Istituzione. La SEDE di Via Copernico in Milano diventerà sempre più un polo di iniziative solidali, in parte gestite dall’Opera stessa, e in parte dirette da altre realtà Diocesane, con l’apporto del mondo del volontariato.
La “Casa di Monza” è ubicata in Via Cesare Battisti, adiacente all’ampio viale che conduce alla splendida Villa Reale.
L’ampio complesso monzese – un tempo (a partire dal 1903) dimora del ramo femminile dell’“Istituto San Vincenzo per l’educazione delle “deficienti”- , dove ancora soggiornano solo n. 12 anziani (donne e uomini), ex allievi/e della prima ora, necessita di una radicale ristrutturazione.
Questa storica parte del patrimonio immobiliare dell’Ente, non può e non deve essere persa; ma, in questo particolare momento storico, l’“Opera Diocesana” non ha né le risorse finanziarie per affrontare un intervento così dispendioso, né il personale idoneo e preparato per realizzare il progetto-sogno di una trasformazione degli ambienti in una R.S.A . (Residenza Sanitaria Assistenziale) di centoquaranta (n. 140) posti letto-degenza, con annesso un C.D.I. (Centro Diurno Integrato).
Ma nella sua storia centenaria, l’“Istituto San Vincenzo” non si è mai occupato in modo specifico di “assistenza agli anziani”, né questo settore di intervento è mai stato contemplato nello Statuto dell’Ente. Necessita, pertanto, individuare un secondo partner, che abbia le caratteristiche indispensabili per condurre questa tipologia di servizio.
Ecco affacciarsi la “COOPERATIVA SOCIALE ‘LA MERIDIANA’”, un’organizzazione di ispirazione cristiana, da tempo nota a Monza per il suo impegno sul fronte della terza età, sia come gestore di attività e di strutture, sia come propulsore culturale (studi e pubblicazioni sul tema).
A ristrutturazione avvenuta (2001), l’“Opera Diocesana Istituto San Vincenzo” affiderà la rinnovata struttura, dotata di innovativi sistemi di sicurezza, alla “Cooperativa ‘La Meridiana’”.
9. GLI ANNI 2000 ad OGGI e
l’“OPERA DIOCESANA ISTITUTO SAN VINCENZO”
L’“Opera Diocesana Istituto San Vincenzo” ha strutturato la propria offerta di servizi secondo un’articolazione che intende accompagnare la famiglia dai primi anni di vita del bambino all’età adulta.
Alla luce delle recenti normative Regionali, che hanno determinato una differente organizzazione dei servizi sanitari, socio-sanitari e socio-assistenziali, l’“Istituto San Vincenzo” è oggi presente, nella sua sede di via Copernico, con le seguenti unità d’offerta:
un “CENTRO DI RIABILITAZIONE SAN VINCENZO” E’ un servizio socio-sanitario accreditato dalla Regione Lombardia – le prestazioni di assistenza sanitaria erogate sono, pertanto, a carico del Fondo Sanitario Regionale – finalizzato alla cura e alla riabilitazione di disturbi funzionali, di disabilità e del disagio infantile.
Gli operatori si prefiggono la predisposizione e l’attuazione di programmi di intervento riabilitativo, che tengano conto delle esigenze complessive della persona in età evolutiva e del suo contesto familiare e sociale, attraverso apporti coordinati di specialisti diversi.
A questa tipologia di servizio riabilitativo possono accedere sia ragazzi ed adolescenti, i quali – a causa di un evento patologico intervenuto prima, durante o dopo la nascita – hanno subìto ritardi, arresti o comunque compromissione nel loro sviluppo motorio, fisico o psichico, sia soggetti in età evolutiva, che – per varie cause – presentano difficoltà momentanee o permanenti nella sfera affettivo-emotiva, nell’apprendimento o nel comportamento.
Il “Centro di Riabilitazione San Vincenzo” si articola nelle seguenti tipologie di SERVIZI, tutti di carattere riabilitativo:
– l’“AMBULATORIO di NEUROPSICHIATRIA INFANTILE”. Offre prestazioni di sedute ambulatoriali di trattamento (Psicomotricità, Rieducazione logopedia, Psicoterapia, ecc.) a circa duecento (n. 200) bambini e adolescenti l’anno.
– Il “SERVIZIO RIABILITATIVO in REGIME DIURNO CONTINUO.” Offre possibilità di degenza di carattere semiresidenziale, con un prevalente intervento di carattere educativo ed abilitativo, a sua volta suddiviso in due differenti unità d’offerta: il “Centro Diurno Riabilitativo ‘IL GIRASOLE’ [età 6 – 12 anni: venti (n. 20) bambini], e il “Centro Diurno Riabilitativo ‘IL VELIERO’” [età 13 – 18 anni: venti (n. 20) preadolescenti ed adolescenti].
Inoltre, vi è il “CENTRO DIURNO DISABILI ‘IL MELOGRANO’. E’ un servizio socio-sanitario accreditato dalla Regione Lombardia e convenzionato con il Comune di Milano, che accoglie – in regime semiresidenziale – trenta (n. 30) giovani ed adulti da 18 a 65 anni con ritardo mentale. Tale disabilità può essere accompagnata da disturbi di carattere psichico, fisico e sensoriale.